lunedì 14 novembre 2011

L’ASPETTO MORALE DELLA DIFESA

Alla fine degli anni 80 esplode il fenomeno "squadra Americana".
Gli anni 90 sono dominati dalla squadra nazionale Italiana, (Campione del Mondo e neo Campione d’Europa), che è stata capace, non solo di fare una sintesi di tutte le esperienze pallavolistiche precedentemente avviate da altre scuole, ma di esprimere originalità tecnico-tattiche che ne hanno fatto la "Scuola" pallavolistica più ammirata nel mondo.
Parleremo della filosofia della Squadra Nazionale Italiana che ha attinto a piene mani dai concetti nati dalla esperienza Americana, rifacendoci a concetti espressi da due allenatori tra i più bravi al mondo: Silvano Prandi e Doug Bill.
Distinzione tra l’aspetto tecnico e quello morale:
L’aspetto MORALE prescinde dalla tecnica stessa ma è valorizzato dalla nostra disposizione mentale al lavoro (ci sono ragazzi/e tecnicamente ben impostati che non difendono una palla e, al contrario atleti/e non in possesso di una buona tecnica, ma che raccolgono molti palloni).
La difesa, nel complesso della sua filosofia, è un fondamentale che richiede tempi lunghi di acquisizione per il coinvolgimento dell’IO interiore (acquisizione della mentalità attraverso il cambiamento del carattere). E’ un lavoro lento, ma che dà risultati nel tempo e anche i risultati non saranno apprezzabili facilmente, perché si passerà da due palle salvate su dieci, a tre palle salvate su dieci, non apprezzabile da chi guarda, ma dati alla mano si vede che in un set si sono salvate sei palle in più di quella che era la media precedente, una a testa, ipotesi.
Obiettivi che noi ci possiamo porre, ma che dipendono molto dalla disposizione mentale dei giocatori.
La mentalità di allenamento alla difesa deve essere trasferita su tutti i fondamentali.
Andare in palestra non per passare due o tre ore di allenamento, ma per ottenere dei risultati di allenamento. Nel discorso difesa, almeno il 70% dipende dalla nostra disposizione mentale all’allenamento: allenamento perché la partita è solo una conseguenza dell’allenamento; è impossibile che chi si allena bene, con la giusta mentalità, poi giochi male. Far sì che quando si va in palestra si sia mentalmente educati a perseguire degli obiettivi.
1.    OBIETTIVO: non sopportare l’errore, non tollerarlo.
Avere una avversione fisica allo sbaglio, avere un "odio" totale verso tutto quello che non è corretto, tutto quello che non è il gesto e il risultato giusto da ottenere in allenamento. Esternare disapprovazione e rabbia nei confronti di chi non ha fatto nulla per evitare che una situazione negativa si verificasse e ha sbagliato per non avere fatto il massimo, è un qualche cosa che fa sì che io non possa permettermi di sbagliare. Io non sopporto l’errore e quindi non sopporto di perdere e se sono una persona razionale faccio di tutto per evitare di perdere e, per evitare di perdere non basta dire nello spogliatoio: "Ragazze/i, oggi bisogna vincere!".
Bisogna prepararlo nell’allenamento attraverso una metodologia che rispecchi questa filosofia. Filosofia nella quale non c’è posto per paure e insicurezze.
Partiamo da un altro ragionamento per spiegare meglio la filosofia del "non sopportiamo l’errore".
Noi, cosa ci alleniamo a fare?
Andiamo in palestra per sezionare la partita, dividendola in esercizi che sono poi dei pezzetti di partita più o meno analitici che noi vogliamo analizzare e ripetere tante volte.
Ripetiamo tante volte dei gesti per far scaturire l’automatismo e quindi far diventare quei gesti automatici. Vogliamo che diventino degli automatismi giusti e cioè gesti giusti che ci facciano vincere le partite, non quelli che ce le fanno perdere.
A questo punto, ATTENZIONE, così come si instaurano gesti giusti se la nostra serie di ripetizioni è positiva, così, senza che noi lo vogliamo, si instaurano allo stesso modo automatismi negativi, se quello che facciamo è scorretto, cioè esattamente il contrario di quello che vogliamo ottenere dall’allenamento. Se noi non instauriamo una mentalità, una metodologia di lavoro di un certo tipo, questo automatismo negativo si inserisce senza che noi ce ne accorgiamo.
Andando oltre, facciamo un esempio: se io faccio un gesto positivo, vado a +1 nella scala che mi porta all’efficienza (obiettivo di allenamento inteso come raggiungimento dell’efficienza in un qualcosa, vuoi difesa, ricezione, servizio, ecc..). Se io quel qualcosa lo faccio male o non lo faccio affatto (cioè lascio, perché fare un gesto scorretto, non vuol dire solo farlo, ma vuol dire anche lasciare che una situazione negativa vada da sola), ad esempio se quando arriva la palla io non faccio niente per prenderla, c’è già stato un gesto scorretto, perché tutto il mio sistema nervoso non ha reagito pur vedendola, quindi l’impulso automatico, dal vedere all’agire, è stato inibito segnando un – 1 nella scala dell’efficienza. Questo –1 però non ha lo stesso valore del +1 del gesto positivo, ma il rapporto è di 1 a 10 e nella scala dell’efficienza andrò a: (+1 –10)= -9.
Sappiamo che togliere un difetto è più difficile che instaurare un automatismo nuovo su un terreno vergine, per cui se si instaura un automatismo negativo devo ripetere 10 volte il gesto positivo per poter annullare il –9 nella scala dell’efficienza. L’allenamento quindi è negativo se non è fatto bene, non è bene andare in palestra a fare –1, -2, -3, e lasciare che si instaurino automatismi negativi, perché poi quelli non li togliamo più e arriveremo al punto che vinceremo solo se gli altri sono peggio di noi. Rivedere quindi il nostro approccio mentale all’allenamento in modo tale d’arrivare ad essere efficienti è sicuramente un processo lungo, che comunque parte, dall’educazione dell’individuo e dall’auto-responsabilizzazione perché, come già sappiamo, l’allenatore non può stare dietro il sedere di ognuno, ad ogni azione, come non si può costringere all’efficienza una persona se non si ha la sua collaborazione: questa è l’unica via per raggiungere l’efficienza.
2.    OBIETTIVO: provare sempre.
Non esiste una palla che non sia gestibile, il tarlo dell’inefficienza sta proprio nel provare a gestire solo i palloni facili, mentre quelli difficili, o quasi impossibili, non fanno parte del nostro lavoro. Troppo spesso succede che se la palla non è tirata facile, piano e addosso, non è difesa e se arrivano 20 schiacciate e non se ne prende neanche una, ci si arrabbia e ci si scusa: "cosa vengo a fare all’allenamento, non ho toccato nemmeno un pallone!". Se invece in quell’esercizio specifico, ci vengono tirate tutte palle addosso, precise, ci si concentra, si raccolgono tutte le energie, si prendono tutti i palloni, si fa bella figura " mi raccomando, addosso qui, in mezzo alle ginocchia non tanto forte" e si prende un pallonetto prendibilissimo, si è contenti e si pensa: "oggi sono stato bravo in difesa, buona percentuale". Questo è un esercizio fine a se stesso, è un test (palloni piano addosso) che non centra niente con la pallavolo. Si è contenti di aver preso quei palloni piano e addosso, ma poi quando prosegue l’allenamento e si sta in campo per perseguire altri obiettivi come muro, attacco, battuta, ricezione, ecc…tutte le volte che ci sono palloni che volano, mi pongo nei loro confronti come se fossi in difesa e quindi "solo se piano e addosso", condizione che comunque nella pallavolo non esiste mai. Difesa vuol dire impedire che un pallone cada a terra, non vuol dire prendere una schiacciata.
Gli Stati Uniti sintetizzarono così il concetto di difesa: una palla che sta andando tra il pubblico a 20 m di distanza, il giocatore la rincorre ugualmente; questa è l’espressione massima del concetto "proviamo sempre" in cui un giocatore non sta a porsi il problema se la palla che arriva la può prendere o non la può prendere, ("è fuori dalla mia portata non la prendo").
La palla è talmente veloce che uno, in quei momenti, non può fare dei ragionamenti, deve solamente agire e nell’ambito della tecnica che gli è stata insegnata, fa un gesto che può avvenire da fermo, o può invece spostare i piedi e iniziare una corsa per raggiungere la palla, dopo di che, farà un tuffo come ultima risorsa a disposizione. Fatto questo, se non avrà preso la palla, avrà comunque fatto tutto quello che era nelle sue possibilità e se fosse stato nelle sue possibilità, avrebbe preso la palla. Provando sempre, oltre ad instaurare quell’automatismo positivo visto prima, dalla ripetizione costante traggo dei benefici per aumentare le mie possibilità.
999 volte dobbiamo provare a prendere quella palla e per 999 volte non ci arriviamo, ma ci sarà una millesima volta in cui questa palla entra nel campo delle mie possibilità. Quei 20 cm che mi separano dalla palla, 999 volte di ripetizioni me li hanno coperti, ma attenzione quella millesima volta esiste solo se ci sono stati quei 999 tentativi apparentemente negativi. Se noi ci blocchiamo non ci sarà mai una millesima volta in cui noi saremo padroni di un gesto superiore alle nostre attuali possibilità. "Non sopportare l’errore", "Provare sempre" sono concetti morali che noi dobbiamo trasferire nel nostro allenamento perché ne sono la linfa vitale. Non esiste alternativa, l’alternativa è l’inefficienza, non solo nella difesa, ma in tutti i fondamentali: la rincorsa della schiacciata fatta sempre bene, perché la rincorsa non è un trasferimento, uno spostamento da un posto all’altro, ma è un’acquisizione di velocità orizzontale che si trasforma in elevazione e se non la facciamo sempre bene succede che ogni volta che schiacciamo siamo praticamente fermi, ci siamo mossi in anticipo e, da fermi, non abbiamo potenza perché non si ha massa e perché non si ha energia cinetica acquisita: non si ha niente.
Andare a muro ogni volta anche nelle condizioni più difficili, andare: dice "non ci arrivo". Provaci!.
E’ opportuno lavorare nella direzione della perfezione pur sapendo che non la si raggiungerà mai. "Raggiungere la perfezione è un viaggio non una meta!".
Ultimo aspetto è il concetto di aspettarsi sempre la palla: ci sono delle situazioni in cui il giocatore vedendo una palla pensa che non lo riguardi giudicando l’attacco in un altro settore del campo; spesso questo giocatore è portato ad avere un attimo di rilassamento, commettendo un errore grossolano perché esiste una possibilità che quella palla arrivi nella sua zona. Ad esempio il pallone che tocca le mani del muro, o se lo schiacciatore è molto abile nel nascondere la direzione reale di attacco, o comunque quei palloni che nessuno di noi può prevedere in anticipo. Automaticamente un rilassamento mentale, prima ancora che di posizione, mi porta a non essere più nelle condizioni di gestire quella palla. Un buon difensore è quello che è convinto che la palla la dovrà gestire lui, non che la toccherà qualcun altro e che il compito spetterà a lui a prescindere dal fatto che poi quella palla la gestirà effettivamente lui o un altro.

Nessun commento:

Posta un commento