lunedì 14 novembre 2011

L’ASPETTO MORALE DELLA DIFESA

Alla fine degli anni 80 esplode il fenomeno "squadra Americana".
Gli anni 90 sono dominati dalla squadra nazionale Italiana, (Campione del Mondo e neo Campione d’Europa), che è stata capace, non solo di fare una sintesi di tutte le esperienze pallavolistiche precedentemente avviate da altre scuole, ma di esprimere originalità tecnico-tattiche che ne hanno fatto la "Scuola" pallavolistica più ammirata nel mondo.
Parleremo della filosofia della Squadra Nazionale Italiana che ha attinto a piene mani dai concetti nati dalla esperienza Americana, rifacendoci a concetti espressi da due allenatori tra i più bravi al mondo: Silvano Prandi e Doug Bill.
Distinzione tra l’aspetto tecnico e quello morale:
L’aspetto MORALE prescinde dalla tecnica stessa ma è valorizzato dalla nostra disposizione mentale al lavoro (ci sono ragazzi/e tecnicamente ben impostati che non difendono una palla e, al contrario atleti/e non in possesso di una buona tecnica, ma che raccolgono molti palloni).
La difesa, nel complesso della sua filosofia, è un fondamentale che richiede tempi lunghi di acquisizione per il coinvolgimento dell’IO interiore (acquisizione della mentalità attraverso il cambiamento del carattere). E’ un lavoro lento, ma che dà risultati nel tempo e anche i risultati non saranno apprezzabili facilmente, perché si passerà da due palle salvate su dieci, a tre palle salvate su dieci, non apprezzabile da chi guarda, ma dati alla mano si vede che in un set si sono salvate sei palle in più di quella che era la media precedente, una a testa, ipotesi.
Obiettivi che noi ci possiamo porre, ma che dipendono molto dalla disposizione mentale dei giocatori.
La mentalità di allenamento alla difesa deve essere trasferita su tutti i fondamentali.
Andare in palestra non per passare due o tre ore di allenamento, ma per ottenere dei risultati di allenamento. Nel discorso difesa, almeno il 70% dipende dalla nostra disposizione mentale all’allenamento: allenamento perché la partita è solo una conseguenza dell’allenamento; è impossibile che chi si allena bene, con la giusta mentalità, poi giochi male. Far sì che quando si va in palestra si sia mentalmente educati a perseguire degli obiettivi.
1.    OBIETTIVO: non sopportare l’errore, non tollerarlo.
Avere una avversione fisica allo sbaglio, avere un "odio" totale verso tutto quello che non è corretto, tutto quello che non è il gesto e il risultato giusto da ottenere in allenamento. Esternare disapprovazione e rabbia nei confronti di chi non ha fatto nulla per evitare che una situazione negativa si verificasse e ha sbagliato per non avere fatto il massimo, è un qualche cosa che fa sì che io non possa permettermi di sbagliare. Io non sopporto l’errore e quindi non sopporto di perdere e se sono una persona razionale faccio di tutto per evitare di perdere e, per evitare di perdere non basta dire nello spogliatoio: "Ragazze/i, oggi bisogna vincere!".
Bisogna prepararlo nell’allenamento attraverso una metodologia che rispecchi questa filosofia. Filosofia nella quale non c’è posto per paure e insicurezze.
Partiamo da un altro ragionamento per spiegare meglio la filosofia del "non sopportiamo l’errore".
Noi, cosa ci alleniamo a fare?
Andiamo in palestra per sezionare la partita, dividendola in esercizi che sono poi dei pezzetti di partita più o meno analitici che noi vogliamo analizzare e ripetere tante volte.
Ripetiamo tante volte dei gesti per far scaturire l’automatismo e quindi far diventare quei gesti automatici. Vogliamo che diventino degli automatismi giusti e cioè gesti giusti che ci facciano vincere le partite, non quelli che ce le fanno perdere.
A questo punto, ATTENZIONE, così come si instaurano gesti giusti se la nostra serie di ripetizioni è positiva, così, senza che noi lo vogliamo, si instaurano allo stesso modo automatismi negativi, se quello che facciamo è scorretto, cioè esattamente il contrario di quello che vogliamo ottenere dall’allenamento. Se noi non instauriamo una mentalità, una metodologia di lavoro di un certo tipo, questo automatismo negativo si inserisce senza che noi ce ne accorgiamo.
Andando oltre, facciamo un esempio: se io faccio un gesto positivo, vado a +1 nella scala che mi porta all’efficienza (obiettivo di allenamento inteso come raggiungimento dell’efficienza in un qualcosa, vuoi difesa, ricezione, servizio, ecc..). Se io quel qualcosa lo faccio male o non lo faccio affatto (cioè lascio, perché fare un gesto scorretto, non vuol dire solo farlo, ma vuol dire anche lasciare che una situazione negativa vada da sola), ad esempio se quando arriva la palla io non faccio niente per prenderla, c’è già stato un gesto scorretto, perché tutto il mio sistema nervoso non ha reagito pur vedendola, quindi l’impulso automatico, dal vedere all’agire, è stato inibito segnando un – 1 nella scala dell’efficienza. Questo –1 però non ha lo stesso valore del +1 del gesto positivo, ma il rapporto è di 1 a 10 e nella scala dell’efficienza andrò a: (+1 –10)= -9.
Sappiamo che togliere un difetto è più difficile che instaurare un automatismo nuovo su un terreno vergine, per cui se si instaura un automatismo negativo devo ripetere 10 volte il gesto positivo per poter annullare il –9 nella scala dell’efficienza. L’allenamento quindi è negativo se non è fatto bene, non è bene andare in palestra a fare –1, -2, -3, e lasciare che si instaurino automatismi negativi, perché poi quelli non li togliamo più e arriveremo al punto che vinceremo solo se gli altri sono peggio di noi. Rivedere quindi il nostro approccio mentale all’allenamento in modo tale d’arrivare ad essere efficienti è sicuramente un processo lungo, che comunque parte, dall’educazione dell’individuo e dall’auto-responsabilizzazione perché, come già sappiamo, l’allenatore non può stare dietro il sedere di ognuno, ad ogni azione, come non si può costringere all’efficienza una persona se non si ha la sua collaborazione: questa è l’unica via per raggiungere l’efficienza.
2.    OBIETTIVO: provare sempre.
Non esiste una palla che non sia gestibile, il tarlo dell’inefficienza sta proprio nel provare a gestire solo i palloni facili, mentre quelli difficili, o quasi impossibili, non fanno parte del nostro lavoro. Troppo spesso succede che se la palla non è tirata facile, piano e addosso, non è difesa e se arrivano 20 schiacciate e non se ne prende neanche una, ci si arrabbia e ci si scusa: "cosa vengo a fare all’allenamento, non ho toccato nemmeno un pallone!". Se invece in quell’esercizio specifico, ci vengono tirate tutte palle addosso, precise, ci si concentra, si raccolgono tutte le energie, si prendono tutti i palloni, si fa bella figura " mi raccomando, addosso qui, in mezzo alle ginocchia non tanto forte" e si prende un pallonetto prendibilissimo, si è contenti e si pensa: "oggi sono stato bravo in difesa, buona percentuale". Questo è un esercizio fine a se stesso, è un test (palloni piano addosso) che non centra niente con la pallavolo. Si è contenti di aver preso quei palloni piano e addosso, ma poi quando prosegue l’allenamento e si sta in campo per perseguire altri obiettivi come muro, attacco, battuta, ricezione, ecc…tutte le volte che ci sono palloni che volano, mi pongo nei loro confronti come se fossi in difesa e quindi "solo se piano e addosso", condizione che comunque nella pallavolo non esiste mai. Difesa vuol dire impedire che un pallone cada a terra, non vuol dire prendere una schiacciata.
Gli Stati Uniti sintetizzarono così il concetto di difesa: una palla che sta andando tra il pubblico a 20 m di distanza, il giocatore la rincorre ugualmente; questa è l’espressione massima del concetto "proviamo sempre" in cui un giocatore non sta a porsi il problema se la palla che arriva la può prendere o non la può prendere, ("è fuori dalla mia portata non la prendo").
La palla è talmente veloce che uno, in quei momenti, non può fare dei ragionamenti, deve solamente agire e nell’ambito della tecnica che gli è stata insegnata, fa un gesto che può avvenire da fermo, o può invece spostare i piedi e iniziare una corsa per raggiungere la palla, dopo di che, farà un tuffo come ultima risorsa a disposizione. Fatto questo, se non avrà preso la palla, avrà comunque fatto tutto quello che era nelle sue possibilità e se fosse stato nelle sue possibilità, avrebbe preso la palla. Provando sempre, oltre ad instaurare quell’automatismo positivo visto prima, dalla ripetizione costante traggo dei benefici per aumentare le mie possibilità.
999 volte dobbiamo provare a prendere quella palla e per 999 volte non ci arriviamo, ma ci sarà una millesima volta in cui questa palla entra nel campo delle mie possibilità. Quei 20 cm che mi separano dalla palla, 999 volte di ripetizioni me li hanno coperti, ma attenzione quella millesima volta esiste solo se ci sono stati quei 999 tentativi apparentemente negativi. Se noi ci blocchiamo non ci sarà mai una millesima volta in cui noi saremo padroni di un gesto superiore alle nostre attuali possibilità. "Non sopportare l’errore", "Provare sempre" sono concetti morali che noi dobbiamo trasferire nel nostro allenamento perché ne sono la linfa vitale. Non esiste alternativa, l’alternativa è l’inefficienza, non solo nella difesa, ma in tutti i fondamentali: la rincorsa della schiacciata fatta sempre bene, perché la rincorsa non è un trasferimento, uno spostamento da un posto all’altro, ma è un’acquisizione di velocità orizzontale che si trasforma in elevazione e se non la facciamo sempre bene succede che ogni volta che schiacciamo siamo praticamente fermi, ci siamo mossi in anticipo e, da fermi, non abbiamo potenza perché non si ha massa e perché non si ha energia cinetica acquisita: non si ha niente.
Andare a muro ogni volta anche nelle condizioni più difficili, andare: dice "non ci arrivo". Provaci!.
E’ opportuno lavorare nella direzione della perfezione pur sapendo che non la si raggiungerà mai. "Raggiungere la perfezione è un viaggio non una meta!".
Ultimo aspetto è il concetto di aspettarsi sempre la palla: ci sono delle situazioni in cui il giocatore vedendo una palla pensa che non lo riguardi giudicando l’attacco in un altro settore del campo; spesso questo giocatore è portato ad avere un attimo di rilassamento, commettendo un errore grossolano perché esiste una possibilità che quella palla arrivi nella sua zona. Ad esempio il pallone che tocca le mani del muro, o se lo schiacciatore è molto abile nel nascondere la direzione reale di attacco, o comunque quei palloni che nessuno di noi può prevedere in anticipo. Automaticamente un rilassamento mentale, prima ancora che di posizione, mi porta a non essere più nelle condizioni di gestire quella palla. Un buon difensore è quello che è convinto che la palla la dovrà gestire lui, non che la toccherà qualcun altro e che il compito spetterà a lui a prescindere dal fatto che poi quella palla la gestirà effettivamente lui o un altro.

IL MURO di Julio Velasco


 

Per allenare dobbiamo sempre assumere come modello di prestazione la partita ideale che una squadra della nostra categoria potrebbe giocare. Quando parliamo di muro non dobbiamo pensarlo come una cosa isolata: il muro è parte integrante del sistema difensivo: è la prima linea di difesa. Quindi muro e difesa di campo sono due elementi di un sistema che si condizionano reciprocamente.I COMPITI DEL MURO
I compiti del muro in questo sistema sono:
il muro vincente, cioè una azione di difesa che diventa attacco;
il muro difensivo di contenimento, cioè toccare la palla e permettere una difesa agevolata. Si utilizza soprattutto con attacchi con palla staccata o contro uno schiacciatore che gioca sulle mani del muro;
il muro che obbliga, cioè fare attaccare dove vuole la squadra che difende.
I prossimi due punti possono essere considerati "errori" del muro:
muro che non chiude e che permette agli avversari una comoda ricostruzione;
mano - fuori dell'attaccante sul muro; toccata di rete in azione di muro.
Dobbiamo analizzare il muro come tecnica usando un metodo cronologico, cioè vediamo, in una partita, per ogni fondamentale, la cosa che si fa prima fino a quella che si fa per ultima. All'interno di un'analisi cronologica dobbiamo definire le cose più importanti e dobbiamo fissare l'attenzione su queste. Se diamo a tutte le cose la stessa importanza sbagliamo: nella pallavolo si cresce e si procede per salti di qualità. Una cosa è insegnare,un'altra è allenare. Prima devo fissare l'atto (insegnare), una volta che l'allievo lo ha imparato lo posso allenare con la ripetitività.
ANALISI CRONOLOGICA DEL MURO IN UNA PARTITA Teniamo in considerazione il nostro modello di prestazione; per il nostro esempio prendiamo una partita di alto livello.La prima cosa che deve sapere il giocatore a muro è sapere chi c'è dall'altra parte, da questo dipenderà tutto ciò che si farà. Sapendo chi c'è dall'altra parte il giocatore fa un ripasso mentale di quello che deve fare a secondo delle caratteristiche individuali dell'avversario. La componente principale della tattica individuale a muro è
la scelta del da farsi: a) tempo da usare quando si mura su un determinato giocatore (per prima cosa si deve vedere se un attaccante attacca col tempo giusto o no). Come si fa ad identificare il momento esatto del muro? Non guardando la palla (se non quando parte dalle mani del palleggiatore) ma guardando l'attaccante!
Subito dopo la battuta del compagno di squadra, la prima cosa che il giocatore a muro deve valutare è la ricezione (che può essere sbagliata), quindi deve guardare la palla finchè non arriva nelle mani del palleggiatore avversario, dopo ciò deve valutare dove il palleggiatore darà la palla (se la sua posizione denuncia dove alzerà); quando parte la palla dalle mani del palleggiatore il giocatore a muro sa dove andrà, a chi andrà lo sa già perchè lo ha pensato prima, mentre si sposta, quindi, guarda l'attaccante per prendere il tempo giusto su di lui.
La prima cosa da guardare è la rincorsa di chi attacca, la sua rincorsa deve puntare al petto di chi mura, in questo punto il giocatore che mura salta. Per allenare il muro a guardare l'attaccante e non la palla, un esercizio molto semplice è: mettere un giocatore
a muro, il tecnico o un compagno con un buon palleggio si mette dietro di lui e alza per un attaccante al di la della rete che schiaccia. La posizione del salto è: piedi paralleli, mani davanti al corpo ed un livello medio, piegare e saltare. E' importante saltare frontale perchè si vede meglio l'attaccante; inoltre saltando lateralmente si ha solo un momento in cui le mani sono al posto giusto, saltando frontalmente, già quando le mani sono sopra la rete, è possibile murare: i giocatori però vogliono saltare lateralmente perchè saltano di più, bisogna quindi spiegare loro quali sono i pro del salto frontale. Prima dello sviluppo della corsa come preparazione fisica per saltare di più a muro, il primo incremento di salto a muro si produce per un miglioramento della coordinazione. 1º perchè quello frontale è un salto che non si è abituati a fare, 2º perchè è molto più difficile il reclutamento delle fibre quando non si ha una velocità iniziale. Quindi bisogna allenare il salto a muro e non gli altri tipi di salto per migliorarlo; solo saltando a muro si migliorerà quel tipo di salto, poi quando la coordinazione è al limite, necessiteranno anche altri esercizi di potenziamento. Altro elemento dell'analisi cronologica del fondamentale, dopo il salto frontale, è la manualità.
Le mani del muro devono essere orientate il più possibile verso il basso,
le braccia sono tese in alto per avanti e il polso non è molto piegato, minimo che segua la linea del braccio. La posizione delle mani va il più possibile naturale per permettere una maggiore possibilità di ruotare i polsi e cambiare il piano di rimbalzo. Il problema della manualità è che per troppo tempo abbiamo allenato il muro senza palla, ma non solo anche senza attaccante. Dobbiamo quindi allenare il muro toccando la palla, se non tocchiamo la palla è inutile parlare di manualità. Per il femminile vale quanto si è detto finora, perchè presenta tre situazione su sei nelle quali si hanno due attaccanti contro tre a muro; il problema delle donne è che la velocità della palla che viene alzata è la stessa che nei maschi, ma la giocatrice a muro è più lenta, quindi si hanno più situazioni di muro a uno; per questo motivo la difesa di campo col muro a uno è importantissima nel femminile.

GLI SPOSTAMENTI
Possiamo distinguerne tre tipi: 1) passo accostato; 2) passo incrociato; 3) passo con rincorsa laterale.
1) Passo accostato: è il migliore per poter vedere dall'altra parte, inoltre permette di saltare frontalmente: è , poi, lo spostamento che permette meglio di aggiustare il posto esatto dove saltare (permette infatti anche mezzi passi). Di contro ha la caratteristica di essere lento, quindi è il migliore quando gli spazi da coprire sono brevi.
2) Passo incrociato: nelle distanze lunghe bisogna usare il passo incrociato. Ce ne sono due tipi: a) quello che inizia con un passo laterale (laterale, incrocio e chiusura); b) quello in cui il primo passo è incrociato (incrocio, allargare e avvicinare).
3) Passo con rincorsa laterale: quando la distanza da coprire è molto lunga il giocatore corre e poi salta lateralmente.


Passando dall'1) al 3) incrementiamo la velocità, più questa aumenta (quindi più andiamo verso il 3), più peggiora la possibilità di guardare di là, di saltare frontalmente, di aggiustare il tempo di salto e la posizione delle mani in aria.Una delle cose che dobbiamo assolutamente evitare quando ci sono degli spostamenti, e soprattutto quando lo spostamento è in banda, è quella che il centrale si butti verso l'ala passando dietro di questa. Questo è un errore, in
quanto la palla passa in diagonale ed inoltre la difesa non sa dove posizionarsi. Per allenare il muro, dopo aver fatto i primi esercizi, si possono creare col nastro piccoli campi e far attaccare lungolinea in questi con muro a uno e poi a due, con e senza copertura; in questo modo l'attaccante deve per forza tirare nella zona dove ci sono le mani e permette così al muro di toccare molti palloni. In questi esercizi di insegnamento di un fondamentale è importante non usare la rotazione immediata in modo che l'atleta possa provare subito la correzione degli errori.
MURO SUL 1º TEMPO
Il muro di 1º tempo ha due sistemi: 1) il più semplice (si vede se saltare o no sul 1º tempo), saltare in 1º tempo,
cadere e spostarsi cercando di arrivare ad un secondo salto. Il problema del sistema a lettura è nell'attacco in 1º tempo, in quanto è un sistema che sacrifica il 1º tempo per dare priorità al 2º e al 3º tempo, questo perchè anche a livelli alti il 1º tempo si usa poco. 2) saltare dopo che è avvenuta l'alzata (muro a lettura), saltando dopo è chiaro che se il 1º tempo è anticipato e alto non si riuscirà a fermarlo, ma se è un po' ritardato si può riuscire a fermarlo o a contenerlo; questo è il motivo per cui bisogna anticipare il 1º tempo. Per questa seconda tecnica si devono tenere le braccia più alte possibile, le gambe un po' piegate, in modo tale da non dover caricare per saltare; per i livelli medio - bassi non si dovrebbe mai murare il 1º tempo anticipato. Questo sistema è l'uno contro uno, che significa che sapendo che il 1º tempo può essere dato il giocatore a muro sceglie di saltare comunque a 1º tempo, quindi si gioca uno contro uno al centro e uno contro uno alle bande. (Julio Velasco) ___________________________________________________ PS :[...]In una progressione didattica si può allenare in principio un giocatore alla volta (muro a uno), per passare poi a situazioni con più giocatori insieme. Si può cominciare con palloni più alti e lenti, e proseguire con tutti i tipi di alzata e di tempo di attacco. Il legame del muro con la difesa costituisce un passo significativo e ulteriore verso la creazione di un sistema che dovrebbe esistere a ogni livello, e non solo nel gioco più evoluto. A questo proposito appare utile far lavorare insieme il muro e la difesa. Nel creare un a corretta abitudine mentale per gli atleti, alcuni principi possono essere:
convincere il giocatore a murare sempre, perché questo da comunque un contributo e fornisce un punto di riferimento per la difesa;
far si che ogni giocatore a muro pensi per conto proprio;
chiarire sempre la necessità della massima disciplina in questo fondamentale.
L’allenamento del muro non deve riprodurre soltanto tutte le possibili evenienze che si potrebbero verificare nel momento agonistico.
di FAUSTO POLIDORI

sabato 12 novembre 2011

CRITERI DI SCELTA NELLA COSTRUZIONE NELLA PALLAVOLO ...

http://www.federvolley.it/CMS/upload/news/959.pdf

Aspetti cognitivi nei giochi sportivi di squadra
I giochi sportivi di squadra, a cui appartiene la pallavolo, fanno parte degli
sport di situazione.In queste discipline si evidenzia una motricità a
prevalente determinazione tattica. La prestazione è determinata dalla
capacità di adattamento della tecnica a situazioni indeterminate e non
predefinite che variano continuamente in tempi brevissimi e che l’atleta
deve fronteggiare con risposte motorie adeguate, con la massima rapidità e
precisione possibile.
Secondo il prof. Pittera negli sport di situazione, e nella pallavolo in
particolare, la correttezza del gesto tecnico richiesto dipende dall’esattezza
delle informazioni che il S.N.C. trasmette, dopo averle elaborate, al sistema
muscolare che favorisce, tramite l’azione degli arti inferiori, l’ottimale
posizionamento del corpo per agevolare la fase di intercettazione. Ciò
avviene attraverso la lettura dei segnali che ci dà l’avversario, a tal
proposito fondamentale è il ruolo dei neuroni specchio(1), la valutazione
della traiettoria dell’attrezzo e possedendo la capacità di movimento
adeguata per compiere lo spostamento alla velocità richiesta dalla
situazione di gioco. Così l’atleta si troverà sul punto d’impatto della palla in
anticipo rispetto alla stessa. Ciò permetterà agli arti superiori e al tronco,
supportati, quando la situazione lo permette, da una condizione di massimo
equilibrio sia al suolo che in fase di volo, di eseguire il cambio di direzione
dell'’attrezzo con la massima precisione esecutiva. Fondamentale a tal
proposito è il ruolo della memoria, nelle sue varie forme, per velocizzare il
processo di elaborazione della risposta.
Pertanto, nei giochi sportivi gli aspetti cognitivi hanno un’incidenza notevole
sull’esito positivo o negativo dell’attività. Infatti, i giocatori, durante il gioco,
devono confrontarsi di continuo con fattori di vario genere: gli attrezzi di
gioco ed i loro movimenti; l'obiettivo da raggiungere; i compagni di
squadra, gli avversari ed i loro spostamenti; lo spazio entro il quale si gioca
, il tempo di gioco; i vincoli posti dai regolamenti, le varie condizioni esterne
(luce, caratteristiche del terreno di gioco le condizioni atmosferiche); gli
influssi di vario genere esercitati dai comportamenti arbitrali, dagli
spettatori, ecc.Tutto ciò presuppone continui processi di presa, elaborazione e
memorizzazione di informazioni.Il giocatore, prima di compiere un gesto tecnico, deve inserire una serie di dati nel suo cervello. Questa fase è definita come immissione degli input.Questi input vengono confrontati, valutati ed elaborati nella fase di elaborazione. Il risultato che ne scaturisce è il progetto mentale che dà luogo all’esecuzione motoria cioè la fase output. Più il suo pensiero è ricco di operazioni mentali, maggiore è la probabilità di trovare soluzioni di gioco efficaci.
Nella realtà non c’è una netta separazione tra processi percettivi, cognitivi e motori; non esiste una gerarchizzazione sequenziale del tipo: prima osservo, poi comprendo e poi eseguo.
Dunque il comportamento tattico è uno dei fattori che caratterizzano i giochi
sportivi ed il complesso degli sport di situazione. In tali attività, il
comportamento di ciascun contendente, o meglio di ciascun giocatore, ha
sempre un fondamento tattico, poiché costituisce in ogni caso il risultato di
una scelta, tra una serie più o meno vasta di possibili soluzioni del problema
motorio che si pone in un determinato istante di gioco.

venerdì 11 novembre 2011

L’APPRENDIMENTO MOTORIO nella PALLAVOLO

PERCHÉ È IMPORTANTE L’APPRENDIMENTO MOTORIO ? Quasi tutto ciò che un tecnico fa in allenamento dovrebbe essere influenzato dai principi dell’apprendimento motorio. Immaginate di voler far schiacciare i vostri giocatori. Una delle prime decisioni dovrà essere come introdurre i nuovi concetti. Dovete far vedere come si esegue il fondamentale o no? Se sì, come sarà la natura della dimostrazione? E quanto dovrà essere lunga? Bisogna parlare durante la dimostrazione? Cosa dovete dire e quanto? Gli studi sull’apprendimento motorio si sono occupati di questi aspetti e forniscono una buona guida all’allenatore.
Magari, nel corso della stagione, il problema potrebbe essere la ricezione e dovete pensare a nuovi esercizi per aiutare la vostra squadra a migliorare. Potrebbe aiutarvi un esercizio di attacco e difesa a coppie, con due giocatori che colpiscono la palla, facendo poi a turno un’alzata, una schiacciata o una difesa. Quanto tempo va dedicato a lanciare i palloni direttamente verso i vostri ricevitori? È meglio concentrare tutto il vostro tempo per la ricezione in un solo blocco o dedicare varie sessioni al fondamentale? Ancora una volta le ricerche sull’apprendimento motorio hanno trovato le risposte a queste domande.
Infine, considerate un centrale che ha problemi nel murare le palle alte fuori-banda. Alcuni feedback (informazione di ritorno) da parte vostra potrebbero aiutarlo. Ma quale tipo di feedback e quanto spesso bisogna fornirlo? Il feedback occupa uno dei settori di studio più vasti dell’apprendimento motorio; ci sono precise indicazioni da seguire se volete aumentare la vostra capacità di fornire informazioni ai giocatori. L’APPRENDIMENTO MOTORIO NELLA PALLAVOLO I casi più importanti nell’apprendimento di un’abilità motoria sono contenuti in un modello sviluppato da Gentile (1972), modificato da Nixon e Locke (1973), e ulteriormente modificato qui per integrare l’apprendimento motorio e la pallavolo.
Seguendo questo modello l’atleta:
1. stabilisce l’obiettivo generale del compito che deve imparare; 2. formula un piano (o programma motorio) da usare nella prima prova
3. esegue la risposta; 4. aspetta il feedback; 5. decide come provare a farlo la volta successiva, e...6. ripete il processo.
Una parte parallela del modello contiene la sequenza delle decisioni dell’alle-natore e dei suoi possibili interventi. Le ricerche che forniscono le basi per i principi dell’apprendimento motorio sono riassunte in questo modello.
La tabella unisce gli atleti, l’allenatore e i risultati delle ricerche e può servire anche come indice riassuntivo dell’articolo. Molti dei compiti principali dell’allenamento sono contenuti nei primi quattro stadi della tabella. Noi ci focalizziamo su questi:
presentazione dell’obiettivo (aiutando i giocatori a comprendere come le tecniche del gioco devono essere eseguite); sviluppo del programma motorio (pianificando l’allenamento in modo che le tecniche del gioco siano effettivamente allenate); migliorare le risposte;
dare informazioni retroattive (feedback) ai giocatori su ciò che hanno fatto.

[...]Obiettivi degli esercizi
 Molti allenatori amano gestire allenamenti molto precisi programmando il tempo esatto per ciascuna fase di questi ultimi. Per esempio un allenatore potrebbe dire una frase del tipo:
«OK, sapete quanto conti la ricezione per i nostri risultati, così voglio dedicare i prossimi 15 minuti per lavorare su questa. Fatelo e lavorate duro». Ma i giocatori non lavoreranno duramente in queste condizioni, e quando avranno finito non avranno un’idea precisa di come si sono allenati. Una metodologia più efficace è quella di dare ai giocatori un obiettivo. Per esempio dicendo ai giocatori: «Voglio che riceviate 50 palloni e quando avrete finito ditemi quanti di questi sono stati precisi». I giocatori lavorano più duramente in queste condizioni, perché quando hanno finito sanno esattamente come è stata la loro prestazione.Un’altra possibilità è quella di dire alla squadra che sta difendendo che rimarrà a difendere finché non batterà la squadra che attacca un certo numero di volte (o magari un certo numero di volte in una rotazione). Allora, se io batto in due minuti e tu ce ne metti sette per farlo, so che la mia prestazione è stata molto buona. Lo so perché ho ricevuto il feedback. 
[...]Competitività
Un altro modo per aumentare il feedback è quello di fare esercizi competitivi. Molti osservatori ritengono che la squadra maschile U.S.A. sia quella più competitiva del mondo e che lo sia giorno dopo giorno. Molte squadre scelgono i momenti in cui essere competitivi, gli U.S.A. lo sono sempre. Sono competitivi perché effettivamente tutto quello che fanno in allenamento è competitivo, rispecchia la realtà in campo, e non si può essere competitivi senza obiettivi negli esercizi. Quando i giocatori gareggiano in allenamento imparano a essere competitivi e ricevono più informazioni. Infatti sanno se hanno vinto o perso. [...]Giochi a "lavaggio"Bill Neville e Doug Beal hanno previsto molte situazioni di gioco in cui i loro giocatori devono vincere due – o qualche volta tre, quattro, cinque o più – scambi di seguito per rotazione. La prassi è la seguente: tutte le volte che una palla è stata battuta e lo scambio è terminato, un allenatore introduce immediatamente un’altra palla in gioco. Se l’obiettivo è vincere due scambi di seguito per rotazione, la squadra che ha vinto il primo deve vincere anche questo secondo. Se la prima volta l’ha vinto una squadra e la seconda l’altra, nessun punto viene assegnato e il punteggio viene "lavato", pulito.
L’obiettivo può diventare quello di segnare più punti di seguito, così se l’obiettivo è vincere cinque scambi consecutivi in una rotazione, allora dopo il servizio devono essere messe in gioco altre quattro palle (questo finché la stessa squadra continua a vincere gli scambi). Con questo sistema le palle immesse dall’allenatore servono a dare opportunità ai giocatori per rispondere.
Usando queste quattro procedure potrete avere un notevole effetto che dà alla squadra un vantaggio reale sulle altre. Provateli. http://www.varese.federvolley.it/Doc/Allenatori/Tecnico/8_Apprendimento_motorio_pallavolo.pdf